L'angelo di Mauthausen by Roberto Genovesi

L'angelo di Mauthausen by Roberto Genovesi

autore:Roberto Genovesi
La lingua: ita
Format: azw3, epub
Tags: Thrillers, General, Fiction
ISBN: 9788858667088
editore: Rizzoli
pubblicato: 2014-03-17T23:00:00+00:00


Settimo giorno di buio

Joachim Fulke si fermò davanti al prigioniero, le mani appoggiate sul pomo del bastone. Il freddo umido degli ultimi giorni gli era penetrato nelle ossa e a ogni passo la cicatrice sulla gamba produceva fitte insopportabili.

«Zek, sono venuti per portarti via» disse, cercando di controllare la contrazione dei muscoli facciali. «Mi sono fidato di te, ma ho fallito miseramente.»

Zek era seduto come sempre sulla branda. Dondolava le gambe nel vuoto, raggomitolato nella sua divisa a righe in cui sembrava sparire. Era come assente, non ascoltava, lo sguardo perso nel vuoto. Aveva gli occhi appannati, coperti da una patina traslucida.

«Mi hai capito, Zek? Questo è un addio.» Sospirò. «Ho deciso di farti impiccare.»

Il prigioniero smise di dondolarsi e alzò la testa. «Tornerò all’inferno?»

«Non credo a queste cose.»

«E tu continuerai da solo?» Zek non attese la risposta. «Pensi di riuscirci?»

«Ti sto dicendo che stai per morire, Zek.»

Il prigioniero scosse la testa. Due o tre scatti. «Posso uscire un’ultima volta a vedere la neve?»

Fulke si voltò a guardare i secondini, due soldati imbacuccati dalla testa ai piedi. «Per arrivare all’Appellplatz dovrai camminarci sopra...» Fece loro un cenno e la porta della cella si spalancò.

Zek saltò giù dalla branda e si avviò lentamente verso l’uscita, passando proprio davanti a Fulke.

Era il momento giusto. L’uomo della Gestapo estrasse dalla tasca del cappotto un fazzoletto, lasciando cadere a terra un brandello di stoffa. Zek lo adocchiò immediatamente, d’istinto, come un gatto che ha sentito un fruscio tra le foglie.

«Ma... ma... perché ce l’hai tu? Quello è...»

Fulke lo guardò incuriosito, mentre lentamente si chinava per raccoglierlo. «Hanno trovato i suoi vestiti nelle gallerie. Sporchi di sangue. Non volevo dirtelo prima di...» Scandiva le parole seguendo con attenzione gli spasmi della muscolatura facciale di Zek. Qualunque errore, qualunque parola sbagliata avesse pronunciato in quel momento, Loebe gli sarebbe scivolato via dalle mani. Per sempre. Era l’ultima mano di poker. «Credo che l’abbia presa lui.»

Zek pareva un manichino, un medium in trance nel cui corpo viveva temporaneamente un intruso sano di mente.

«Quando è... successo?» ribatté il prigioniero, balbettando.

«Stamattina.»

Zek non smetteva di tremare. «Può essersi ferita. Potrebbe essere il sangue di un altro. Di... di uno dei prigionieri...» Poi tacque, senza smettere di muovere la testa a scatti. Dovette prendersela tra le mani per riuscire a fermarsi. «Non ci credo. Non è ve...o.» Poi ricominciò a scuotere la testa. Guardò i soldati uno per uno, cercando una conferma o una sconfessione. Emise qualcosa di molto simile a un singhiozzo. «Non può essere, non corrisponde al metodo che ha usato finora.»

«E quale sarebbe questo metodo, commissario?» Spinse Zek fuori dalla cella. «Illuminami.»

Zek barcollò e si ritrovò all’aperto, si guardò attorno stringendo le palpebre e le lacrime gli si congelarono attorno alle borse degli occhi. Aprì la bocca e lasciò che alcuni fiocchi di neve vi cadessero dentro. «No... no... non è il suo stile... non lo farebbe mai» disse alla fine, mentre le guardie gli si stringevano attorno. «Lui... lui non uccide.»

Fulke si fermò al suo fianco. «Non uccide chi, Zek?»

«Lui vuole.



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